5 -18 febbraio 2016
Museo della Permanente – via Turati 34 Milano
MICROCITIES DI MATTEO PROCACCIOLI
Luca Beatrice: “Un atlante aereo, il primo a muoversi come un moderno global trotter, dalla Pianura Padana al Cairo, dalle campagne francesi a Casablanca, da Shenzhen a Dubai, passando per Roma, Hong Kong e la periferia di Madrid”
Milano, Gennaio 2016: Atmosfere dalle quali essere avvolti e coinvolti per venire trascinati all’interno dell’immagine e non solo narrazioni e trame da scoprire; questa è l’anima delle opere di Matteo Procaccioli, artista italiano nato a Jesi nel 1983.
Le sue opere rappresentano una necessità di stacco rispetto al mondo circostante, una costante ricerca di silenzio interiore, in una sorta di pacificazione che si traduce nella necessità di esternare la quiete che sempre più raramente viene vissuta nelle giornate convulse della quotidianità.
In 10 anni di ricerca e lavoro sul tema del paesaggio, urbano e non, Matteo Procaccioli ha realizzato tre principali lavori: Structures(2012-2014) con cui fotografando dal basso verso l’alto, ha ritratto l’imponenza architettonica degli involucri di cemento rispetto all’esiguità dell’uomo, raccontando così il mutamento delle città; Urban Landscape (2013 – 2014) dedicata agli agglomerati urbani a 360° e un lavoro con cui l’artista ha allargato la propria prospettiva e Microcities (2014-2015), oggetto dell’attuale esposizione al Museo della Permanente a Milano.
“Il lavoro di Matteo Procaccioli – commenta il critico Luca Beatrice – si inserisce sia nella tradizione di fotografia di paesaggio, sia in una storia più lontana, quella della fotografia aerea di tardo Ottocento, dal primo scatto del porto di Boston realizzato da una mongolfiera a un’altitudine di 630 metri, che ha trovato il suo boom nell’applicazione militare, in particolare durante la Prima Guerra Mondiale.
Nel percorso che unisce tra loro questi lavori, il filo conduttore è il desiderio dell’artista di cogliere il “tra” ovvero il complesso momento di passaggio fra tradizione, storia e contemporaneità. Nei suoi lavori l’uomo, assente fisicamente, è presente soltanto attraverso la testimonianza del suo passaggio nei vuoti sconfinati dei paesaggi silenziosi che li contraddistinguono.
Microcities, in esposizione presso il Museo della Permanente di Milano dal 5 al 18 febbraio 2016, è il più recente ciclo di lavori di Procaccioli, *un progetto ambizioso e seriale, che guarda il paesaggio, quello delle città, delle campagne, delle periferie, da una visione aerea. Nell’epoca dei droni, anni luce dall’exploit di un Nadar ottocentesco e distante dai banchi ottici agganciati a piccioni viaggiatori o aquiloni, Procaccioli mostra una prospettiva oramai familiare ma che conserva i contorni romantici di un viaggio in mongolfiera. Siamo abituati a Google Maps, alle visioni satellitari e al volo, eppure questi paesaggi dalle sfumature pittoriche, alla maniera di Mario Giacomelli, presentano forme e segni che si astraggono fino quasi a far scomparire l’identità di ogni scatto e risultare finzioni, maquette, still-life costruiti in studio o post prodotti. Microcities è un atlante aereo, il primo a muoversi come un moderno global trotter, dalla Pianura Padana al Cairo, dalle campagne francesi a Casablanca, dalle regioni desertiche di Iran e Iraq ai campi da golf del centro Italia, da Napoli a Miami, da Shenzhen a Dubai, passando per Roma, Hong Kong e la periferia di Madrid. Non esiste città ideale, non esiste differenza, non esiste localismo. Il soggetto qui è il silenzio e il vuoto di micropaesaggi dove il segno dell’uomo svanisce: le case, le architetture, i fiumi, gli argini o i monti, non c’è natura o urbanizzazione, non c’è tecnologia e progresso. Ci sono curve, linee, punti, forme geometriche e infinite, ripetizioni di colore, di chiari e scuri, disegnati su un planisfero indagato in lungo e in largo. Da quella prospettiva il mondo si fa piccolo, è una raccolta al microscopio del tessuto che il progresso ha disegnato sulla sua superficie. (*testo di Luca Beatrice)
I suoi lavori nascono da un’elaborazione che coniuga tecniche tradizionali e innovative. La registrazione del reale è un punto di partenza obbligato per giungere all’opera finita, frutto di un cammino articolato, in cui l’artista opera fisicamente sulla matericità dell’immagine. Nelle Microcities ad esempio si uniscono tra loro i paradigmi propri del mezzo fotografico dell’era 2.0 come il rapporto naturale vs. artificiale, l’utilizzo delle tecnologie, l’evoluzione del ruolo di fotografo e la cura dell’immagine visiva
Matteo Procaccioli in un dialogo con la storica d’arte Angela Madesani commenta così Microcities: “È sicuramente il mio lavoro più completo e anche il più dedicato. Tornavo dalla Cina in Italia. Saturo di palazzi, di grandi strutture, frutto del progresso, mi sentivo quasi inquinato, avevo voglia di raccontare qualcos’altro. Così ho utilizzato la macchina fotografica dal finestrino dell’aereo come un filtro tra il mio occhio e quanto stava sotto il velivolo. Guardando attraverso l’ottica, era come se non fossi più lì, ero proiettato in quello che vedevo fuori. Ho scattato due o tre foto, poi ho smesso e ho iniziato a prendere appunti. I viaggi in aereo sono come dei sogni. Nei miei ricordi sono ovattati: quando si pensa a un sogno, a un ricordo i contorni non sono mai nitidi, precisi, è come se sopra ci fosse un velo. Ho cercato di riprodurre quelle sensazioni, quelle emozioni”.
Gillo Dorfles e Vittorio Sgarbi hanno a loro volta così commentato il lavoro di Matteo Procaccioli:
“Credo che uno dei meriti di Procaccioli sia appunto quello di saper ritrarre la realtà nel modo più coerente e figurativamente responsabile ma allo stesso tempo trasformare queste realtà esistenziali in un tipo di esperienza inventiva e fantastica, in un certo senso, lontana da quella che è la semplice raffigurazione fotografica”.
Gillo Dorfles
“Le fotografie di Matteo Procaccioli non documentano, non riproducono, non riflettono né realtà né stati d’animo. Perlustrano luoghi aridi e impraticabili, rendendoli accostabili soltanto alle vedute a cavaliere consentite da una distanza che ritaglia porzioni di un mondo più inconoscibile che sconosciuto. Non è il primo e non è il solo ma è certamente il più distaccato, come se il suo occhio coincidesse con l’obiettivo che scatta immagini prescindendo dalla volontà dell’uomo. C’è dunque una umanità delle cose, una emotività della macchina che vede, pensa e sente per chi la usa prescindendo dalla propria sensibilità. (…) Le ho guardate e riguardate e benché sia fra gli uomini uno di quelli che ha più visto, non ho riconosciuto un solo luogo, un solo continente, un solo estuario, una sola collina. E dove sembra di conoscere, una luce nebbiosa scende sulle cose come per dissolverle, così Procaccioli si porta dietro il suo segreto con tanta convinzione da nascondere il mondo anche a se’ stesso.“
Vittorio Sgarbi
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